I paradossi della transizione verde in Europa: renne o terre rare?

Il più grande deposito europeo di terre rare è al centro di un acceso dibattito: da un lato l’Europa lo considera fondamentale per ridurre la dipendenza dalla Cina, dall’altro la comunità Sami teme la fine della pastorizia delle renne.

Quando la società LKAB ha scoperto il deposito Per Geijer in Svezia, contenete circa 1,2 miliardi di tonnellate di minerale con 2,2 milioni di tonnellate di ossidi di terre rare, la notizia ha subito avuto un grande eco a Bruxelles, Berlino e Parigi.

Presentato come il più grande giacimento europeo di terre rare, è stato rapidamente classificato come progetto strategico nell’ambito del Critical Raw Materials Act (CRMA). Ma dietro l’entusiasmo si nasconde un conflitto profondo dal momento che il giacimento si trova sul corridoio di migrazione delle renne della comunità Sami di Gábna, una rotta vitale che resiste da secoli e che oggi rischia di essere spezzata.

Un tassello cruciale per la catena del valore europea

L’Europa dipende in modo quasi assoluto da importazioni di terre rare, in gran parte dalla Cina. I numeri parlano chiaro: nel 2024 il 95% delle forniture proveniva da Cina, Malesia e Russia. Per materiali come il disprosio, indispensabile per i motori elettrici e le turbine eoliche, la dipendenza europea da Pechino è totale.

In questo contesto, Per Geijer è visto come un pilastro delle ambizioni green-tech europee. Tuttavia, per i Sami la miniera rappresenta una minaccia esistenziale visto che significherebbe perdere il territorio necessario alla pastorizia delle renne, ancora oggi fulcro della loro cultura e della loro sopravvivenza.

Una terra già segnata

Kiruna conosce bene l’impatto dell’industria estrattiva. La storica miniera di ferro di Kiirunavaara ha già costretto, nel 2024, allo spostamento dell’intera città, compresa la chiesa principale. Parallelamente, i cambiamenti climatici stanno restringendo ulteriormente lo spazio vitale con piogge invernali che formano croste di ghiaccio, estati più calde e pascoli sempre meno accessibili. Per i Sami, ogni ulteriore ostacolo al corridoio migratorio equivale a mettere a rischio la sopravvivenza delle mandrie.

Nonostante il clamore, Per Geijer è ancora lontano dal diventare operativo. LKAB ha avviato quest’anno una galleria esplorativa di 8 chilometri per definire meglio il giacimento, ma i tempi autorizzativi in Svezia fanno pensare ad un avvio della produzione non prima degli anni ’30. Intanto, il nodo principale resta irrisolto: come conciliare lo sfruttamento minerario con la salvaguardia della cultura e delle esigenze dei Sami?

Il collo di bottiglia della lavorazione

Anche se estratte, le terre rare dovranno affrontare un altro ostacolo e cioè l’assenza in Europa di capacità sufficiente di separazione e raffinazione. La Cina domina l’intera filiera intermedia. Alcuni progetti europei sono in corso, come l’impianto REEtec in Norvegia e l’ampliamento della struttura Solvay a La Rochelle (Francia), ma gli analisti avvertono che senza investimenti rapidi e autorizzazioni accelerate l’Europa rischia di non raggiungere gli obiettivi del CRMA.

Il riconoscimento del progetto di Per Geijer come strategico a livello europeo non cancella le leggi svedesi. Il precedente della Corte Suprema norvegese, che nel 2021 ha bocciato il parco eolico di Fosen per violazione dei diritti dei Sami, pesa come un avvertimento. Qualsiasi progetto che comprometta la pastorizia delle renne può essere giudicato illegittimo, anche se finalizzato alla transizione verde.

Quale compromesso?

Gli osservatori ipotizzano soluzioni di compromesso, come la costruzione di corridoi artificiali per la migrazione, finestre stagionali per ridurre l’impatto del traffico minerario, una co-gestione vincolante con la comunità Sami e impianti di lavorazione decentrati per ridurre la pressione locale. Ma restano misure ipotetiche, non ancora tradotte in impegni concreti.

Il paradosso di Per Geijer riflette un dilemma globale. Come conciliare sicurezza delle forniture e decarbonizzazione con la tutela dei diritti indigeni e dell’ambiente? Per l’Europa, il banco di prova sarà capire se la spinta verso l’autonomia strategica potrà andare di pari passo con i principi di giustizia ambientale e culturale che essa stessa promuove.

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