Dalla Polonia all’Italia: la mappa della crisi siderurgica europea

L’autunno del 2025 verrà ricordato come uno dei periodi più difficili per l’industria siderurgica europea. Dalla Francia alla Polonia, passando per la Germania e l'Italia, una serie di chiusure temporanee, guasti e incidenti ha aggravato una crisi già profonda, segnata da domanda debole, costi energetici record e una concorrenza sempre più aggressiva da parte delle importazioni a basso costo. Il primo segnale d’allarme è arrivato dalla Polonia, dove ArcelorMittal ha deciso di fermare temporaneamente l’altoforno n. 3 di Dąbrowa Górnicza. Una scelta dettata da un mix esplosivo di fattori negativi: prezzi dell’energia ai massimi storici, costi elevati delle quote di carbonio e un’ondata di acciaio a basso prezzo proveniente dall’estero. Secondo l’associazione siderurgica polacca, le importazioni coprono ormai l’80% del fabbisogno nazionale e raggiungono il 95% nel segmento dei prodotti piani. Incidenti a catena in tutta Europa Ad ottobre, una serie di incidenti ha ulteriormente complicato il quadro. In Francia, un incendio all’impianto ArcelorMittal di Fos-sur-Mer ha danneggiato due linee di trasporto, costringendo allo stop dell’altoforno n. 2 e del reparto acciaieria. Le fiamme non hanno causato vittime, ma la produzione è rimasta ferma per quasi due mesi, con inevitabili ritardi e riallocazioni verso altri stabilimenti europei. Anche la Germania non è stata risparmiata. Thyssenkrupp Steel Europe ha sospeso l’altoforno n. 9 di Duisburg, colpita da domanda fiacca e un eccesso di importazioni. Pochi giorni prima, un’esplosione in un forno aveva provocato un incendio nel nuovo laminatoio dello stesso sito. In Italia, il Gruppo Pittini ha interrotto la produzione nello stabilimento Ferriere Nord a causa di un incendio a un trasformatore, mentre Marcegaglia ha subito danni significativi al suo impianto di Ravenna, riducendo la capacità di produzione di lamiera a freddo. Anche Acciaierie d’Italia, a Taranto, ha dovuto fronteggiare uno stop di emergenza all’unico altoforno attivo, sebbene limitato a pochi giorni. Crisi strutturale e rischio di deindustrializzazione La situazione non è migliore nei paesi dell’Europa Orientale, dove le ex attività di Liberty Steel in Romania, Repubblica Ceca e Ungheria faticano a trovare un futuro. A Galați si cerca un acquirente tramite un’asta internazionale, mentre a Ostrava — tornata al nome storico di Nová Huť — si pianifica il passaggio a una moderna acciaieria elettrica. In Ungheria, invece, lo stabilimento di Dunaújváros resta fermo, in attesa di un nuovo proprietario, mentre in Lussemburgo si valuta un intervento pubblico per salvare l’impianto di Dudelange. Nel complesso, oltre 8 milioni di tonnellate di capacità produttiva sono oggi inattive in Europa Orientale, molte delle quali difficilmente verranno riavviate. Se questa tendenza dovesse consolidarsi, il continente rischierebbe una perdita strutturale di capacità siderurgica, aumentando la dipendenza dalle importazioni e riducendo la sicurezza industriale dell’Unione Europea. Prezzi in rialzo e offerta in contrazione La combinazione di incidenti, chiusure e restrizioni alle importazioni sta già lasciando il segno sul mercato. I trader segnalano un aumento dei premi sui contratti e una crescente difficoltà nel reperire volumi aggiuntivi, in particolare per acciai laminati a caldo e a freddo. Paradossalmente, la riduzione della concorrenza esterna sta permettendo ai grandi produttori europei di mantenere stabili i prezzi, nonostante la domanda resti debole. Ma la resilienza mostrata dal settore non basta a nascondere un rischio sistemico. Senza un intervento coordinato dei governi e una chiara politica industriale europea, molte acciaierie oggi temporaneamente inattive potrebbero diventare definitivamente chiuse. Una prospettiva che, se realizzata, segnerebbe un duro colpo per l’autonomia strategica del Vecchio Continente. METALLIRARI.COM © ALL RIGHTS RESERVED