Schiavi di Google, ovvero come la SEO ha inquinato il mare

Tra articoli spazzatura, fake-news, SEO e algoritmi che analizzano la leggibilità, per l’informazione sembra non esserci più scampo…

Avete mai fatto caso che nel mare c’e una cosa che galleggia sempre in superficie? Certo, se l’acqua è pura e cristallina la superficie luccica e profuma ma se, come accade nella realtà, scarichi e fognature si riversano in mare, state certi che, anche a distanza di chilometri, quello che galleggia è la merda.

Un po’ come succede nel web, un mare dove chiunque può gettare quello che gli pare. Notizie vere, notizie false, articoli spazzatura o video virali che mostrano le vette della stupidità umana. Purtroppo, è qualcosa di così normale che un po’ tutti ce ne siamo abituati. Ma non solo, la maggior parte delle persone la giudica benevolmente come libera informazione o come contro-informazione.

Parola d’ordine: fare galleggiare l’immondizia

Ma quello che per certi versi è sorprendente, è che la rete abbondi di professionisti che si dedicano a far galleggiare i contenuti il più in alto e il più a lungo possibile. In questo modo, tutti noi possiamo godere di un mare dove galleggiano migliaia, se non milioni, di pagine-immondizia.

Questo tipo di attività, considerata una delle professioni emergenti e più richieste del mercato, si chiama SEO, un acronimo inglese che sta per Search Engineering Optimization. In pratica, un insieme di tecniche, qualche volta lecite altre volte truffaldine, per fare guadagnare posizioni nei motori di ricerca a qualsiasi contenuto presente sul web.

Come diventare ricchi senza lavorare

Per esempio, provate a cercare in Googlecome diventare ricchi senza lavorare“. Pensate che esca “nessun risultato per questa ricerca” oppure “non ci sono risposte alle domande stupide”? Niente affatto, escono pagine e pagine di contenuti drammaticamente comici e nelle prime posizioni ci sono quelle più dopate dalla SEO.

Che c’è di strano in tutto ciò? In fondo, da sempre gli informatici del web lavorano per ottimizzare siti e pagine, affinché siano più performanti, più gradevoli per l’utente e raggiungano il maggior numero di visitatori. Tuttavia, quello che è successo negli ultimi anni in rete sfiora la perversione.

Chi dovrebbe occuparsi di informazione, per offrire a chi legge notizie o riflessioni che possano avere una qualche utilità, preferisce scrivere per assecondare gli algoritmi dei motori di ricerca. Meglio un bell’articolo spazzatura, ottimizzato da un bravo esperto SEO, che possa galleggiare nella prima pagina di Google, che non dare informazioni. Insomma, meglio una fake-news sulla prima pagina di Google che una notizia vera nella seconda pagina.

A peggiorare le cose, o forse ne sono proprio la causa, ci si mettono anche le agenzie pubblicitarie. Quest’ultime, preferiscono dirottare i loro budget su pagine che galleggiano in alto, indipendentemente da quello che è il contenuto. Non importa se un articolo o un video sia ingannevole per il lettore o che riporti notizie volutamente false. Quello che importa è che l’algoritmo di Google, magari ingannato da un buon lavoro di SEO, lo faccia galleggiare in prima pagina.

Carlo Rubbia contro Salvatore Aranzulla

Che un articolo sia stato scritto da Carlo Rubbia o, all’opposto, da Salvatore Aranzulla, non conta nulla. L’articolo migliore è quello con il punteggio SEO più alto, che lo collocherà in cima ai motori di ricerca. Provate a cercare qualche articolo di uno dei nostri più famosi e conosciuti Premi Nobel italiani e provate a cercare contenuti di Salvatore Aranzulla, l’omeopata dell’informatica (poche informazioni diluite in un fiume di parole). I risultati vi dimostreranno in modo schiacciante la nuova realtà della rete: 420.000 pagine il primo, 1.260.000 il secondo.

Naturalmente, verrebbe da pensare che, in qualche modo, tutto questo fetido e puzzolente mare di informazioni farlocche piaccia molto ai lettori, che si sentono assai meno ignoranti di chi scrive contenuti tanto popolari. Senza contare che è molto più facile lasciare ad un algoritmo la scelta di cosa leggere, piuttosto che fare lo sforzo di selezionare una notizia o, ancora più difficile, capire quali sono le fonti affidabili.

Comunque, continuiamo a sperare che almeno un paio lettori, la prossima volta che si troveranno davanti alla prima pagina dei risultati di Google, proveranno a scorrere sulla seconda o sulla terza o sulla decima pagina, per cliccare solo su contenuti provenienti da fonti affidabili. Lasciateci almeno sognare!

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