Petrolio a 50 dollari. Il mercato sta cambiando?

Le recenti quotazioni del petrolio sembrano giustificare un certo ottimismo da parte dei rialzisti che sperano nell’inizio di un trend duraturo. Ma banchieri e produttori non sono per nulla convinti che ciò possa accadere tanto presto.

Il mercato del petrolio è tornato in deficit per la prima volta in due anni.

Almeno questo è quello che sembra dall’ultimo giudizio espresso da Goldman Sachs, fino ad oggi decisamente ribassista circa il futuro dell’oro nero. La grande banca d’affari internazionale, al contrario di quanto detto negli ultimi mesi, crede che i prezzi del petrolio saranno di 50 dollari al barile per la seconda metà di quest’anno, poiché il mercato è passato da un eccesso di scorte ad un deficit di fornitura in tempi più rapidi di quanto ci si potesse aspettare. Secondo Goldman Sachs, si passerà da un surplus di 2 milioni di barili al giorno nel 2015 ad un deficit di 400 milioni di barili al giorno entro il quarto trimestre di quest’anno.

L’impennata della domanda, in parte causata dai bassi prezzi e dal calo della produzione di petrolio dei paesi non aderenti all’OPEC, sta spingendo i prezzi verso l’alto. Anche i paesi OPEC sono immersi in problemi non da poco conto. Arabia Saudita, Oman e Bahrain, sono stati declassati da Moody, anche a causa dell’impoverimento delle riserve valutarie nazionali.

Arabia Saudita, Oman e Bahrain, sono stati declassati da Moody, anche a causa dell’impoverimento delle riserve valutarie nazionali

Secondo il Wall Street Journal, l’Arabia Saudita ha chiesto e ottenuto prestiti per 10 miliardi di dollari dalle banche internazionali il mese scorso, ma gli esperti prevedono che da qui a fine anno il debito crescerà ulteriormente. Se il paese non riuscirà a diversificare la propria economia, i problemi finanziari diventeranno sempre più complicati. Anche se l’Arabia Saudita ha predisposto una serie di riforme economiche (Vision 2030) per ridurre la dipendenza dal petrolio, il loro impatto sull’economia del paese è ancora poco chiaro.

In Nigeria la produzione di petrolio è scesa al minimo da 20 anni, mentre il Venezuela sembra sull’orlo del tracollo, con crescenti timori per il possibile default della società petrolifera statale (PDVSA). Inoltre, negli Stati Uniti la produzione di greggio è scesa dell’8,4% rispetto alle punte del 2015, così come in Cina la produzione nel mese di aprile ha accusato un calo del 5,6% anno su anno.

Dobbiamo quindi attenderci un cambiamento di direzione del trend del petrolio e prepararci per un fase di crescita dei prezzi? Non proprio.

Forse la linea di demarcazione tra un eccesso di offerta e un deficit è molto più sottile di quanto si possa pensare e il drammatico calo dei prezzi degli scorsi mesi ha scatenato una catena di eventi che avranno implicazioni a lungo termine per tutta l’industria energetica mondiale, con una enorme contrazione degli investimenti.

Non c’è nessun segnale che produttori e banchieri vogliano invertire questa tendenza, convinti come sono che i prezzi non siano ancora pronti per salire significativamente. Fino a quando non tornerà loro l’appetito per investire negli impianti di estrazione, sarà molto difficile vedere brillare i prezzi del petrolio.

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