Una pessima eredità dei nostri padri: l’Ilva di Taranto

I problemi dell’acciaieria più grande d’Europa si ingigantiscono con il passare del tempo, ma nessuno vuole farsi carico delle soluzioni, tutte dolorose nel breve termine.

Nel mondo della matematica esistono alcuni problemi famosi per essere irrisolvibili. Uno dei più famosi è il cosiddetto Sedicesimo Problema di Hilbert.

Anche nel mondo dell’economia italiana esistono problemi irrisolvibili ma che, con ogni probabilità, rimarranno tali per l’eternità. Il più famoso è l’Ilva di Taranto.

Molti problemi e molte soluzioni

Parlando appunto di siderurgia, quasi sempre non esistono risposte facili ai problemi più difficili e il caso dell’Ilva è un bell’esempio di un caso con molti problemi e molte soluzioni, nessuna delle quali senza conseguenze.

I dati del problema sono noti a tutti, così come le possibili soluzioni. Tuttavia, le soluzioni sono tutte dolorose. L’impianto di Taranto è stato a lungo una delle principali fonti di inquinamento (soprattutto atmosferico). La mancata bonifica dell’impianto è stata una parte importante della perdita economica subita dalla precedente gestione del Gruppo Riva (2014), quando lo stato italiano ha messo sotto sequestro miliardi di euro dell’Ilva.

Nel novembre 2018, il governo ha accettato di affittare l’impianto per 45 milioni di euro al trimestre al gruppo ArcelorMittal, con l’obbiettivo di arrivare alla vendita negli anni a venire. Nel frattempo, ArcelorMittal ha dichiarato che avrebbe investito 2,4 miliardi di euro nella modernizzazione dell’impianto e nella bonifica ambientale, accettando di mantenere circa 10.700 posti di lavoro per cinque anni o di pagare parte dello stipendio e multe elevate per qualsiasi lavoratore licenziato.

Aria tossica da respirare

In cambio, il governo ha concesso l’immunità dal reato di inquinamento ambientale.

Un reato tutt’altro che teorico visto che quando a Taranto soffia il vento da nord-ovest le scuole vengono chiuse e i bambini devono rimanere in casa perché la polvere di ossido di ferro proveniente dalle discariche dell’Ilva rende tossica l’aria da respirare. La situazione era ancora peggio prima che arrivasse ArcelorMittal. Secondo The Economist, ogni giorno di vento crea decine di problemi respiratori tra i bambini che frequentano le strutture mediche locali.

In qualsiasi altro paese del mondo l’impianto sarebbe stato chiuso e il caso verrebbe considerato un disastro ambientale. Ma in Italia non è così semplice.

La chiusura dell’acciaieria vale, più o meno, l’1,4% del PIL italiano (fonte: New York Times). L’Ilva è un gigantesco impianto di 15 chilometri ed è la più grande fabbrica del sud Italia. Se venisse chiusa più di 10.500 lavoratori perderebbero il posto di lavoro, oltre alla perdite di tutto l’indotto.

Per completare il quadro, Ilva è la più grande acciaieria d’Europa, con 5 altiforni, anche se non tutti funzionanti. L’anno scorso, l’impianto ha prodotto solo 4,3 milioni di tonnellate contro una capacità compresa tra 9 e 10 milioni di tonnellate.

Chiacchiere per miliardi di euro

Ilva sta perdendo una valanga di soldi mentre è stato firmato un accordo tra governo e ArcelorMittal per continuare la gestione e gli investimenti che erano stati messi in forse dal nuovo governo italiano con il ritiro dell’immunità per il colosso siderurgico. Tuttavia, i piani per rinnovare uno degli altiforni e sostituirne un altro con un forno ad arco elettrico sono ancora soltanto chiacchiere.

D’altronde, nel solito clima politico caotico tipico del nostro paese e in un mercato dell’acciaio depresso, gli impegni di investimento per miliardi di euro sono più facili da promettere che da fare.

Nel frattempo la salute di Taranto, ma anche di buona parte della Puglia, continua a deteriorarsi lungo una parabola discendente senza fine.

A proposito del Sedicesimo Problema di Hilbert, nel 2003, dopo più di un secolo, la soluzione è stata trovata. Anche Ilva ha una storia di oltre un secolo, ma la soluzione ai suoi problemi è ancora lungi dall’essere trovata.

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