La fonderia di alluminio che diventa una miniera di bitcoin

Conviene trasformare una fonderia di alluminio in una miniera di criptovalute? In alcuni casi la risposta è affermativa, come dimostra uno degli più ricchi uomini della Russia.

Cosa c’è di più redditizio e sicuro che produrre alluminio, uno dei metalli più utilizzati in tutto il mondo? I dati. Nel nostro secolo sono i dati la merce più redditizia, tanto più se si tratta di una moneta digitale come il bitcoin.

Una dimostrazione di quanto detto è il più grande data center nell’ex Unione Sovietica, BitRiver. È in funzione da circa un anno nella città siberiana di Bratsk e, come riporta Bloomberg, la maggior parte degli utilizzatori sono minatori di bitcoin.

L’estrazione di bitcoin è paragonata da qualcuno ad una specie di nuova corsa all’oro, questa volta digitale.

Da fonderia a “data center”

Ma la cosa abbastanza straordinaria e, probabilmente, un indelebile segno dei tempi, è che il data center sorge dove c’era l’impianto di alluminio di Bratsk. Una fonderia costruita negli anni 60 e che rappresentava la più grande fonderia dell’URSS.

Naturalmente, una fonderia di alluminio necessita di enormi quantità di energia. Per questo motivo, l’impianto sovietico sorgeva vicino ad una grande centrale idroelettrica, ancora attiva.

Proprio questa energia a basso costo, insieme al clima freddo, costituiscono l’ambiente ideale per un data center, che ha bisogno di bassi costi di raffreddamento per il funzionamento del suo hardware di mining. Il data center consente ai minatori di criptovalute di ottenere dei tassi di efficienza più elevati per l’hardware che utilizzano.

Il miliardario dell’alluminio ha scommesso sulle miniere di bitcoin

Oleg Deripaska, il miliardario e presidente della seconda più grande azienda al mondo di alluminio (Rusal) è il maggiore azionista di Bitriver. L’idea di costruire il data center risale a circa cinque anni fa e, da allora, il miliardario ha organizzato questa nuova impresa insieme alla Rusal e al produttore di energia En+. Anche in quest’ultima azienda Deripaska e la sua famiglia possiedono una partecipazione non da poco conto (45%).

Poiché la legge russa non riconosce il mining di criptovalute, Bitriver non si occupa direttamente del mining. Preferisce infatti fornire solo attrezzature e servizi tecnici ai suoi clienti, inclusi Giappone, Cina e Stati Uniti.

BitRiver sta pagando l’energia di cui necessita 2,4 rubli per chilowattora (circa 0,038 dollari) e la vende a 3,5 rubli per chilowattora (0,055 dollari) ai minatori. Per avere un confronto, il prezzo medio dell’elettricità in Italia è di circa 0,234 euro per chilowattora e in Europa di circa 0,148 euro per chilowattora.

Cifre che evidenziano quanto redditizio possa essere il nuovo business, non solo per BitRiver ma anche per i minatori di bitcoin, che hanno costi irrisori rispetto ai data center dislocati in altre parti del mondo.

Infine, val la pena considerare che chi estrae bitcoin non è per nulla preoccupato della discesa delle quotazioni del bitcoin, recentemente sprofondato al di sotto della soglia dei 7.000 dollari. Che le criptovalute scendano o salgano, chi fa il minatore guadagna sempre.

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