Etiopia, una delle economie a più rapida crescita del mondo

Uno dei paesi africani più dimenticato dai mass-media nazionali e internazionali, vanta la seconda economia a più rapida crescita del mondo, nonostante lo statalismo economico e il basso livello di libertà del mercato.

Non capita spesso di sentire parlare dell’Etiopia nelle cronache economiche occidentali, ne tantomeno nei resoconti turistici.

Forse perché messa in ombra dai suoi vicini africani, Egitto, Sud Africa e Nigeria, questa ex-colonia italiana povera di risorse naturali sta cercando di attirare le attenzioni degli investitori esteri, scommettendo sul fatto che ciò aiuterà lo sviluppo dell’economia del paese. Una ricetta che comprende anche un predominio dello Stato nell’economia e che sembra funzionare, contraddicendo molte teorie del libero mercato più selvaggio.

L’Etiopia, nel 2015, ha conquistato il podio delle nazioni a più rapida crescita, non solo in Africa, ma in tutto il mondo. Mentre molte nazioni africane sono alle prese con il crollo delle valute nazionali e dei prezzi delle materie prime che producono, l’economia dell’Etiopia è cresciuta del 8,7% e, nel 2016, raggiungerà l’8,1% (stime del Fondo Monetario Internazionale).

Il governo è concentrato nel cercare di sconfiggere la povertà e la diseguaglianza nel paese

Una crescita davvero impressionante se si considera che l’Etiopia è il secondo paese più popoloso di tutta l’Africa (circa 90 milioni di abitanti). A livello mondiale, soltanto la piccola Papua Nuova Guinea, nel sud-ovest del Pacifico, è cresciuta più velocemente lo scorso anno (+12,3%).

Secondo i dati della United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD), la crescita degli investimenti diretti esteri è indubbiamente in aumento: 2,2 miliardi di dollari nel 2015 contro i 279 milioni di dollari nel 2012 e i soli 12 milioni nel 1999.

Per cercare di capire qualcosa dell’Etiopia, come di qualsiasi altro paese, è importante conoscere la sua storia che l’ha resa assai differente da ogni altra nazione africana. Mentre molte ex-colonie hanno una mentalità e una struttura amministrativa ereditate dai colonizzatori, l’Etiopia non ha nulla di tutto questo.

L’ambiente politico è relativamente stabile e la leadership di governo è forte, fattori che rendono il paese interessante per gli investitori stranieri. Inoltre, con un processo che è iniziato nel 1991 con la caduta del regime Derg e l’ascesa del Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope (EPRDF), l’Etiopia si è aperta al libero mercato.

Il governo è concentrato nel cercare di sconfiggere la povertà e la diseguaglianza nel paese, dando la priorità a tutti quegli investimenti diretti esteri che forniscono posti di lavoro, prodotti a prezzi accessibili per la popolazione e beni esportabili per generare valuta estera. Perciò, le aree di interesse sono quelle dell’agroalimentare, dei beni di consumo, delle infrastrutture, del tessile, dell’ingegneria e della produzione industriale.

Esistono però alcuni settori economici totalmente chiusi per gli stranieri, tra cui banche, telecomunicazioni, vendita al dettaglio, aviazione e logistica.

Ciò detto, l’Etiopia rimane una calamita per gli investimenti provenienti dalla regione del Golfo, di cui il principale sostenitore è il ricchissimo Mohammed Al Amoudi (è il secondo uomo di colore più ricco del mondo), nato da padre saudita e madre etiope.

Ma il flusso di denaro proveniente dall’estero arriva anche dagli stessi etiopi. Emigrati che mandano il denaro in patria, in aumento soprattutto nell’area del Golfo. Nel 2015 questa massa di denaro ha raggiunto i 3,5 miliardi di dollari, con un impatto positivo sull’economia etiope poiché destinata in gran parte per alloggi e istruzione.

Dal punto di vista degli investitori, l’Etiopia è ancora un ambiente in via di sviluppo, dalle infrastrutture aziendali alle regole giuridiche, dal mercato dei capitali al mercato dei cambi.

Il paese sta portando avanti una sfida ambiziosa e impegnativa, seguendo una strada diversa da quella di molti altri stati africani ma che potrebbe avere successo e dettare un nuovo modello di sviluppo per altri paesi della regione.

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