Il destino dell’Iran è scritto nel petrolio

Non saranno le battaglie per i diritti delle donne o per la libertà di stampa che segneranno il destino dell’Iran, ma quelle che si stanno combattendo per la gestione dell’industria petrolifera del paese.

Nonostante le sanzioni internazionali contro l’Iran siano giunte al termine, l’industria petrolifera del paese si trova nel bel mezzo di una serie di conflitti politici che potrebbero minare il futuro del settore e della crescita economica iraniana.

La storia petrolifera dell’Iran ha radici lontane. Nel 1900, un uomo d’affari britannico, William Knox D’Arcy, comprò una concessione per cercare petrolio da Nassir al Din Shah, il sovrano di Persia. L’impresa, che sembrava sull’orlo del fallimento, si rivelò vincente dopo otto lunghi anni, quando fu scoperto il petrolio nel sud-ovest dell’Iran. La scoperta fu l’inizio dell’era del petrolio per tutto il Medio Oriente. Ben presto le compagnie petrolifere occidentali trovarono altro oro nero in Iraq, Bahrain, Kuwait e Arabia Saudita.

Iniziò anche l’era dei tumultuosi rapporti tra l’Iran e le compagnie petrolifere straniere, culminato con la nazionalizzazione di tutte le risorse petrolifere nel 1951 e con la reazione britannica che decretò l’embargo di tutto il petrolio iraniano, seguito da un colpo di stato sponsorizzato dalla CIA. Con una pausa durante il ripristino della monarchia dello Shah per mano di Stati UnitiRegno Unito, l’antipatia dell’Iran verso le compagnie petrolifere straniere è ripresa nel 1979, con la rivoluzione islamica.

Un simile passato ha lasciato un segno profondo nel settore petrolifero iraniano, isolato dalle tecnologie e dai materiali di consumo occidentali, la cui mancanza ha portato ad un progressivo deterioramento degli impianti di produzione e di raffinazione.

Il paese si trova davanti alla grande sfida di ricostruire la propria industria petrolifera, dalla raffinazione alle infrastrutture di trasporto

Adesso che gli accordi sul nucleare (JCPOA) hanno fatto cadere le sanzioni contro l’Iran, il paese si trova davanti alla grande sfida di ricostruire la propria industria petrolifera, dalla raffinazione alle infrastrutture di trasporto. Un’impresa pressoché impossibile senza investimenti esteri, demonizzati dall’ideologia rivoluzionaria islamica.

Ed è proprio su questo fronte che si sta disputando la battaglia politica tra chi, Hassan Rouhani, vorrebbe attirare investimenti esteri nel paese e chi, l’ayatollah Ali Khamenei, li condanna. Questo è il nodo centrale a cui è legato il futuro dell’industria petrolifera iraniana e, di conseguenza, anche il destino economico del paese.

Se l’economia iraniana non riuscirà a migliorare, i religiosi saranno la colpa a Rouhani, il presidente democraticamente eletto, e Khamenei rivendicherà il fallimento di una politica petrolifera troppo generosa con gli stranieri proseguendo nell’isolamento economico dell’Iran dal resto del mondo.

Il futuro dell’Iran non si gioca ne sul terrorismo, ne sulla libertà di stampa, ne sui diritti alle donne,  ma sul petrolio e sulle compagnie petrolifere straniere. C’è da sperare che non vengano ripetuti gli errori del passato.

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